Il mondo della traduzione per aziende è in evoluzione. Questo è un fatto, perché abbiamo oggi a nostra disposizione splendidi strumenti che ci semplificano la vita lavorativa. Certamente per tanti generi di documenti DeepL e compagni sono più che sufficienti; ma in realtà costituiscono piuttosto un supporto, una base di partenza che attende poi l’intervento umano per dare frutti significativi.

Perché rimane un problema, ed è quel residuo 2%: la traduzione automatica neurale più accurata può realisticamente arrivare al 98% della soluzione, ma – per ora almeno – manca di quel guizzo vitale che solo un professionista, ovvero qualcuno che conosce e le due lingue e il soggetto, e adopera competentemente la tecnologia, può dare. E il 2% è tantissimo, fa senza problemi la differenza tra un progetto di comunicazione di successo e un flop di cui ridere.

In questo momento noi, come società, tendiamo a pensare che l’IA possa fare qualunque cosa; mentre in realtà non può, e il suo utilizzo indiscriminato si presta a conseguenze poco simpatiche. Perché l’intelligenza artificiale crea notizie fasulle, inventa cose, inventa casi giudiziari che non sono mai accaduti e malattie che il paziente non ha.

Quindi: Pedro, adelante con juicio.

È chiaro a tutti che le versioni future di ChatGPT o simili saranno più autonome e performanti, e di sicuro il modo in cui produciamo e traduciamo contenuti muterà. Ma per il futuro prevedibile l’intervento umano lungo il processo non è qualcosa di rinunciabile, sia nei contesti più “creativi” come il marketing che in quelli più “sensibili” come i documenti legali.

Riassumendo: per la comunicazione “spicciola” noi non siamo più competitivi, ma lo siamo – e come! – se il cliente desidera aggiungere valore a quello che fa, essere sicuro di quello che consegna, vendere di più e meglio e così via.