Noi siamo come nani sulle spalle di giganti.
Bernardo di Chartres, citato da Giovanni di Salisbury
Sto traducendo in queste settimane un libro di golf, il mio quarto. Sono passati alcuni anni – invero non tanti – dal primo, ma sto facendo esperienza e sono convinto che questo si traduca in un risultato finale migliore.
(In assoluto tradussi il primo libro sul finire degli anni Novanta del secolo scorso: eufemisticamente dirò che un pochino le cose sono cambiate da allora – sia in me che intorno a me.)
Premesso che litterae non dant panem non è qualcosa che scopriamo oggi, e che tradurre un libro costituisce piuttosto quelli che Batista chiamava “lavori ad alto rendimento” (con buona pace dei traduttori letterari, che potrebbero non essere d’accordo e cui va tutta la mia sincera stima), desidero elencare qui quali sono, dal mio punto di vista, i fattori di successo di un progetto del genere.
Sono tre, e non sono dati in ordine di importanza.
- La tecnologia: nel mio caso la combinazione di DeepL Pro Advanced e memoQ. Ovvero, incrociando i due strumenti ho pretradotto il libro in maniera automatica, e sono quindi partito da una base già quantomeno buona. (Desidero qui ringraziare il mio pusher di fiducia per la tecnologia applicata alla traduzione, Giacomo Falconi, che è sempre pronto a rispondere alle mie domande e che da anni mi aiuta in un percorso che per me non è certo lineare o immediato.)
- La conoscenza dell’argomento: io mastico il golf da quasi vent’anni, lo leggo, lo commento, lo traduco, lo respiro.
- La conoscenza della lingua, soprattutto dell’italiano; come amo dire, la scrittura professionale è l’unica attività umana dove mi sento davvero padrone dell’arte e della tecnica. (Cominciò tutto alle medie, circa 1980, quando una sera d’inverno iniziai in maniera inconsapevole a scrivere per un pubblico, e da allora l’ho fatto tutti i giorni del mondo.) Per contro, la conoscenza dell’inglese è ovviamente importante ma non così fondamentale, perché la lingua di un libro di golf non è in genere arzigogolata, nodosa e involta, ma piuttosto lineare e scorrevole.
Dei tre fattori in questo progetto mi ha affascinato soprattutto la tecnologia: per la prima volta ho applicato un filtro di DeepL a memoQ, e trovo che il risultato sia eccellente. Ovvero: naturalmente non sto dicendo nulla di nuovo, sono strumenti a libera disposizione di chiunque con investimenti non certo elevati, ma io non sono un traduttore, e rimango quindi incantato da “scoperte” del genere. Il fascino non risiede nello strumento in sé, ma nella mia scoperta dell’esistenza di tale “giocattolo”.
Anche se nessuno è in grado di prevedere dove la tecnologia ci porterà da qui a vent’anni (per dire un tempo lontano da noi), bisogna riconoscere che i progressi tecnologici, in questo come in tutti i settori dell’umana conoscenza, ci danno un vantaggio non da poco sul passato. Ovvero è una terra incognita ma assolutamente affascinante. O, per dirla con una pubblicità di Yahoo! del 1998 circa (vado a memoria), it’s a pretty good time to be alive. Sono curioso e desideroso di vedere come evolveranno le cose, ovvero – nel nostro caso – come la sensibilità linguistica si mescolerà al supporto offerto dall’intelligenza artificiale.
Ora, terminata la prima stesura, ho iniziato la prima revisione. E qui la componente tecnologica si fa da parte rispetto alle sottigliezze della lingua. È come mettere in cantina la bici al ritorno dalle vacanze, ora sarà la mia conoscenza dell’italiano a fare la (potenziale) differenza.
Ed è lo stesso Giacomo, che è sì un grande esperto di tecnologia ma anche un profondo conoscitore della nostra lingua, a spiegarne il motivo:
Usare DeepL per una prima stesura consente di risparmiare molto tempo, ma il software non comprende il linguaggio figurato, non coglie i rimandi fuori contesto e soprattutto trascura del tutto la coerenza terminologica (un esempio su tutti: in un testo di meccanica tradotto dall’inglese, le guarnizioni [seal] possono diventare da un segmento all’altro delle foche [sempre seal, ma difficilmente presenti tra i componenti di un cuscinetto]). Occorre quindi una rilettura ancora più attenta del solito, perché il rischio è che il software inserisca errori banali o colossali che un traduttore umano, anche alle prime armi, non farebbe mai.
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